24 marzo 2020
Lettera di Domenico Castaldo,
direttore artistico della L.U.P.A.,
a tutti gli iscritti ai percorsi
Care e cari della comunità L.U.P.A.,
è con rammarico che penso all’interruzione dei tanti percorsi...
Come leggere questa situazione così sorprendente? Vengo a voi con alcune conclusioni. Le conclusioni di un attore (se vi piace di più: un guitto), pregne della verità dei fools, il cui ruolo è dire la verità e pagarne le conseguenze.
Siamo stati paralizzati da un virus, un virus sovrano, un nemico regale, impalpabile, invisibile, veloce e pervasivo come un pensiero. Se lasciamo agli scienziati lo studio degli effetti del virus, a noi (rimasti sani) ci sta infettando il pensiero ossessivo del virus e delle sue conseguenze sulle nostre esistenze. Uno dei pensieri più infettivi è: il mio simile può mettere a rischio la mia vita, io potrei mettere a rischio la vita dei miei simili. Questa possibilità induce a vedere in un altro essere umano, non il prossimo da amare, bensì il prossimo da temere. Temi il tuo prossimo come temi te stesso. Così ci schermiamo e pretendiamo che lo facciano anche gli altri, stiamo chiusi in casa e vestiamo indumenti che ci separino dal contatto con l’esterno. Persino l’aria, il pulsare vitale della nostra cassa toracica, simile al moto perpetuo del cosmo, ci spaventa perché potrebbe veicolare la nostra morte. Questo pensiero ci contrae i muscoli, la contrazione ci tende, la tensione si tramuta in dolore fisico, in difficoltà motoria e questa in rabbia.
Allora indossiamo mascherine per proteggere il nostro prana. Bene, anche nella Tragodìa si indossavano maschere per celebrare i riti teatrali; con questa coscienza la indosso; qual è mai la differenza?
La maschera aveva il compito di amplificare la voce, di aumentare l’espressività del corpo, diminuire l’ego, favorire il potere comunicativo dell’essere umano con il divino.
Le mascherine anti-virus sovrano si pongono a difesa delle vie respiratorie, limitandole, mentre filtrano l’aria danno l’affanno e ottundono la voce. Quando incontriamo gli altri, i nostri occhi faticano a trasmettere il sorriso, il calore, la gioia di un incontro rispettoso del metro di sicurezza. Un metro ed il pensiero è calmo, mezzo metro ed il pensiero avvia l’allarme di pericolo.
Il nostro povero pensiero preoccupato corre, veloce ed instancabile come il dio Ermes, a cercare respiro nelle notizie. Interroga, come oracoli, i notiziari, i contronotiziari, le news (fake or true), spinto, dal pressante bisogno di ascoltare finalmente la frase: l’emergenza è finita!
E invece niente, la litania si ripete: più virus, più restrizioni! Le nostre orecchie sono state abituate a terribili vicende, ma anche a rapide rassicurazioni, alla certezza di soluzioni in corso.
Questa volta invece più restrizioni, maggiori incertezze sulle cure, sempre più morti, con fiducia totale deleghiamo Conte e baroni perché ci liberino dal virus sovrano. E così Il pensiero virale ci contagia e diventiamo tanti bambini in cerca della fine dell’incubo.
Quando si è più vulnerabili si segue chi si mostra più sicuro, anche se potrebbe non sapere quello che fa. E ancora il vangelo ci irretisce: perdona loro perché non sanno quello che fanno. Ma l’ignoranza è un crimine, è un peccato mortale, potrebbe portarci alla peggiore catastrofe.
Quale?
Noi siamo attori ed interroghiamo i miti, perché contengono ogni avvenimento accaduto, ogni pensiero già formulato; ci insegnano, ci guidano e, come ogni libro sacro, suggeriscono soluzioni.
Ecco quello che trovo più adatto al momento.
C’era una volta un uomo che grazie alla sua perspicacia divenne re. Vagabondando per la Grecia antica giunse a Tebe, vessata dalla tirannia della Sfinge. Questa strana creatura sfidava chiunque volesse entrare a Tebe a risolvere un indovinello. Chi non ci azzeccava veniva ucciso, chi avesse risolto l’enigma sarebbe divenuto il sovrano della città.
Edipo era uomo di mente fine e di corpo forte, aveva ucciso in battaglia un intero corteo regale, risolse l’enigma. E divenne il sovrano della liberazione.
Ma dopo poco tempo Tebe fu travolta da una pestilenza. Edipo si interrogava su come fermarla, chiedeva agli dei la causa, chi ne era il colpevole, affrontava l’ignoto senza paura. Così l’indovino Tiresia, interrogato sull’origine della peste a Tebe, rivela che la causa del male comune è proprio in Edipo stesso. Il sovrano non la prende bene. Ma presto la verità viene a galla: il dramma ha radici nel suo passato un dramma che egli (attenzione!!!!!) ignorava. Edipo si acceca e si autoesilia. Erano altri tempi!
Morale: il pesce inizia sempre a puzzare dalla testa! Come potremmo noi, vittime del male, esserne anche i colpevoli? Questo risponde oggi il mito!
E la Storia che dice? Un secolo fa un uomo fu messo a capo di un regime che promosse lo slogan Credere, Obbedire, Combattere. Ci chiediamo chissà quale virus avessero allora!
Noi oggi crediamo a tutte le esperte informazioni che ci danno, obbediamo a regole e raccomandazioni, e non solo, ci impegniamo perché tutti obbediscano; e combattiamo...il nemico invisibile, pervasivo, imprevedibile, che è dentro di noi pronto all’agguato.
Impegniamo i migliori sforzi della nostra mente in questa guerra, e intanto lentamente rinunciamo alla Vita, alla Gioia, all’Amore, alla Libertà.
“E’ un periodo breve! -Ci rassicura il pensiero antivirale- Cosa sono un mese o due nella vita di una persona? “
Il virus ci insegna che basta una esposizione per essere infettati fatalmente e a farci rinunciare, a smettere di coltivare la meraviglia che ognuno di noi potrebbe rivelare e che la nostra arte tanto lotta a stimolare; non è questione di tempo, è questione di anticorpi!
So che gli allievi L.U.P.A. sanno rendersi immuni da questo pensiero-virus, pertanto ho avuto animo di scrivervi mentre continuo a coltivare, senza tregua, quello che ritengo Vita, Gioia, Amore e Libertà in attesa di rincontrarvi tutti e di più.
Un folle abbraccio.
Domenico